Stop the Pounding Heart – Recensione
Documentario che si fonde con la finzione, un ibrido bucolico e assolutamente affascinante quello che l’italianissimo Roberto Minervini, residente da anni negli States, ci regala con questo “Stop the pounding heart”, un’opera sottile, reale che invita lo spettatore a prendere visione di un mondo lontano da noi, ma altrettanto pulsante, come il cuore degli adolescenti ritratti.
Sara è infatti una giovane che vive in una fattoria assieme ai suoi 11 fratelli e sorelle e al padre e alla madre osservanti della Bibbia. L’incontro con un ragazzo, però, rimetterà in discussione il suo stile di vita.
Un mondo rustico, antiquato, dove vigono ancora antiche credenze, dove le donne sono state create per gli uomini e mai viceversa e le due famiglie protagoniste sono ritratte nel loro habitat naturali e hanno poco da fingere, se non il necessario per far proseguire la struttura narrativa.
Passione giovanile, impulsi contro rigida istruzione e religione. Questo è quello che vive Sara che si confronta giornalmente con l’amore del tutto platonico, ma non per questo meno struggente e vivo, con un giovane, Colby, e con la rigidità della propria famiglia, dove solo le sorelle sognano una vita diversa, di viaggiare, di allontanarsi dalla fattoria, seppur non scordando le loro origini e istruzione. Per la protagonista è difficile essere una buona cristiana e allo stesso tempo continuare ad amare il giovane cowboy, Sara diventa quindi la guida a cui il regista si affida per farci penetrare in questa realtà dove nutre i dubbi sulla sua educazione e su quello che il futuro, fuori da quell’ambiente, può offrirle. E lo fa in maniera pacata, forse superficiale, ma a tratti struggente, come nelle sequenze finali dove il confronto con la madre più che esempio della classica ribellione adolescenziale si dimostra una tenera discussione, toccante ed esemplare.
Un’impronta semi documentaristica quella che adotta Minervini che, inventando la trama, riesce a replicare la quotidianità, di un mondo che sembra essersi fermato, in maniera poetica e coinvolgente grazie anche alla delicata fotografia di Diego Romero Suarez-Llanos.
L’impatto visivo e lo stile non possono non richiamare alla mente Malick e in special modo il suo “Tree of Life” e anche qui, come nell’opera vincitrice della Palma d’oro a Cannes, questo linguaggio diventa uno strumento per raccontare l’essere umano posto allo stesso livello dell’ambiente con il quale interagisce. Così Minervini riesce nell’impossibile, nel donarci un ritratto vivo e pulsante di una fetta di umanità rustica e in parte bigotta che viene qui ripresa con amore, come una sorta di accettazione del diverso, che scava per scoprirne i meccanismi e aiutare a comprenderli.
Sara Prian