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Sully – Recensione

L’uomo prima dell’eroe. Ancora una volta il grande ‘vecchio’ Clint mette al centro di un suo film un eroe sui generis, un uomo dedito al proprio dovere che si trova a perdere il suo equilibrio, messo in discussione da istituzioni e gerarchie. Eroe si, innanzitutto per l’opinione pubblica, ma ordinario, perché ‘umano’ e perciò costretto a portare tutto il peso della responsabilità delle sue azioni. Questo è stato prima di tutto il Capitano Chesley Sullenberger detto ‘Sully’.
Il 15 gennaio 2009 un aereo della US Airways decolla dall’aeroporto La Guardia di New York diretto a Charlotte. Al comando c’è il Capitano Sully, ex pilota dell’Air Force statunitense che ha alle spalle circa 20.000 ore di volo, affiancato dal co-pilota Jeff Skiles. Tre minuti dopo il decollo, il velivolo impatta uno stormo di uccelli che provoca un’avaria a entrambi i motori. Il capitano ha pochi secondi per decidere. Non avendo il tempo necessario per raggiungere nessun aeroporto vicino né per tornare indietro, Sully pensa che l’unica opzione possibile sia l’ammaraggio nelle acque del fiume Hudson. L’impresa riesce e tutte le 155 persone a bordo sono salve. Sully viene elogiato dall’opinione pubblica che lo considera un eroe, ma deve rispondere dell’ammaraggio davanti al National Transportation Safety Board. 

Quello che c’è ‘al di là’, l’altra faccia di una storia, ancora una volta è ciò che Eastwood ha voluto mettere davanti agli occhi dello spettatore. Una decisione delicata capace di risolvere una situazione critica e le sue conseguenze ovvero la messa in discussione di quella scelta. Ecco ciò che l’ottantaseienne regista ha deciso di mostrare. “Al di là di tutto quello che il mondo sa su Sully e sull’atterraggio, la cosa più affascinante è ciò che gli è accaduto subito dopo esser diventato famoso” ha affermato a questo proposito il produttore Frank Marshall.
Sully mostra ciò che ci fu ‘al di là’ di quello che è stato definito il “miracolo sull’Hudson”, tra udienze federali e incontri con i sindacati, accuse e difese, simulazioni e azioni reali, calcoli freddi e situazioni reali. L’inchiesta a cui Sully e il suo co-pilota furono sottoposti voleva verificare che la scelta dell’ammaraggio fosse veramente l’unica possibile o invece un rischio per i passeggeri e se non fosse stato meglio scegliere l’atterraggio in un altro aeroporto vicino o tornare a La Guardia.
Cielo e terra, dal rombo dei motori al loro silenzio improvviso, fino a qualcosa che somiglia al volo di un aliante (con 155 persone a bordo) e al tonfo nelle acque gelide dell’Hudson.
In cielo o dietro una trincea (come mostrano gli ultimi due eroi della filmografia di Eastwood) è sempre l’istinto umano a essere decisivo, in quei momenti cruciali in cui emerge il flusso di coscienza di un eroe. Perfettamente coerente con altre sue opere della sua magistrale filmografia, Eastwood si focalizza di nuovo sul concetto cardine di ‘eroe’, figura che da sempre permea l’immaginario americano.
Ma questa volta il vecchio Clint fa di più, intersecando alla perfezione le linee della storia e scegliendo un ‘eroe per caso’ che si trovò ad agire in un momento emotivo particolare della storia degli Stati Uniti. Si viveva ancora il post 11 settembre, la crisi finanziaria del 2008, le truppe americane in Medio Oriente, e un fatto del genere, accaduto proprio nel cuore di New York, forse fece riaccendere nella gente la speranza, come disse lo stesso Capitano Sully.   
Il valore di questo eroe risiede nella grande esperienza (che Sully mostra anche di fronte alla Commissione d’inchiesta), nel rispetto per un lavoro fatto come deve essere fatto, nel ‘fattore umano’, quella X in più capace di determinare scelte decisive in un gesto fermo e deciso, in una parola abile. Ma fu proprio quello stesso gesto a cadere nelle mani di istituzioni comandate da regole, calcoli statistici, algoritmi, simulazioni, protocolli: tutto tranne l’istinto, dettato da un umano senso di responsabilità verso tante vite, un istinto che decise tutto nello spazio di pochi minuti.
Sully è un eroe ‘normale’, agitato da incubi su ciò che di tragico sarebbe potuto accadere (l’incipit del film con quello schianto sullo skyline di New York rivela paure ancora vive): un rappresentante della classe media che lavora, incarnato alla perfezione da un Tom Hanks in stato di grazia, capace di far vivere esteriormente e interiormente l’ultimo eroe non-eroe americano.
Girato magistralmente con una tecnologia IMAX mai così necessaria (capace di trascinare chi guarda ‘dentro’ il volo US Airways 1549), film asciutto ed essenziale nella sua durata racchiusa in 95 minuti (quasi un record per Eastwood regista), Sully è la storia di 208 secondi cruciali di sentimenti umani (che nessuna simulazione può replicare), in cui un uomo ha messo in campo il suo lato migliore, perché se si fa bene il proprio dovere, si può essere uomini straordinari.
Il resto, i 1.200 membri delle squadre di primo intervento e i 7 traghetti che misero in salvo i passeggeri in soli 24 minuti, contribuì a mostrare il meglio di una città che, per questa volta, non precipitò in un incubo proveniente dal cielo.

Elena Bartoni
 

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