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Take Five – Recensione

Un pittoresco gruppo di sbandati, tra i quali un fotografo di matrimoni ed un pugile ora costretto a incontri clandestini, uniscono le forze per compiere una rapina alla Banca Partenope passando dalla rete fognaria. Il colpo ha successo, ma ne segue una serie di imprevisti e colpi di scena che finiranno nel sangue. Non c’è bisogno di scomodare Quentin Tarantino, i cui echi affiorano comunque (timidamente) durante la visione. Guido Lombardi ha scelto un titolo di marca jazz (Take Five è un classico del Bruback Quartet datato 1959) per una crime story alla napoletana che mira a mettere insieme la comicità paradossale con la durezza di un realismo pulp in salsa meridionale. Una volta riconosciuto il brio degli spiritosi dialoghi, infarciti di battute saporite, va constatato come le due componenti non leghino a causa di una regia indecisa e persino immatura. Le forzature e le cadute di ritmo abbondano, in un andamento frammentato e discontinuo. I cinque attori coinvolti, per la maggior parte ex criminali nella vita e già forti di esperienze cinematografiche più “serie”, dimostrano naturalezza e duttilità ma da soli non possono riscattare lo scarso mordente del prodotto. Alla fine il risultato è insoddisfacente su entrambi i fronti, perché l’umorismo è inquinato dalla serietà e viceversa. Più che “senza pausa”, come Lombardi lo ha definito, è a singhiozzo. Qui e là qualche azzeccata idea registica e passaggi suggestivi (le fognature) in un susseguirsi di segmenti male assemblati e ambizioni non realizzate.

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