The Circle – Recensione
Essere connessi, acquisire più conoscenze possibili, condividere tutto.
La trasparenza come nuovo diktat, come necessità imprescindibile per una società ‘vincente’ dal punto di vista economico, politico, sociale. Ma come può il mondo riuscire a bilanciare i benefici di una società trasparente e la necessità delle persone di mantenere la propria privacy?
Questi interrogativi sono alla base di The Circle romanzo bestseller del 2013 di Dave Eggers divenuto ora un film per la regia di James Ponsoldt interpretato da Emma Watson e Tom Hanks.
Un libro, alquanto preveggente visto che è stato scritto quattro anni fa (tantissimi per il mondo della tecnologia e nell’era di internet), incentrato su temi cruciali per la riflessione contemporanea sul rapporto tra uomo e tecnologia.
Un titolo, The Circle, che è anche il nome della prima azienda di tecnologia e social media al mondo, una società immaginaria che riassume tutti i ‘marchi’ più potenti della nostra era e della Silicon Valley, da Facebook a Google, fino a Apple, Twitter e Amazon, una sorta di ibrido di tutti i colossi della tecnologia. L’obiettivo di ‘The Circle’ è, appunto, ‘chiudere il cerchio’, creando una community trasparente, dove tutte le esperienze vengono condivise.
A essere simbolo di questa ‘trasparenza totale’ è la protagonista, Mae (Emma Watson), una giovane che crede di aver avuto l’occasione della vita quando, dopo una serie di delusioni professionali, viene assunta a ‘The Circle’. Man mano che fa carriera, la ragazza viene sempre più affascinata dal ‘credo’ della società. Incoraggiata dai fondatori del colosso tecnologico, Eamon Bailey (Tom Hanks) e Tom Stenton (Patton Oswalt), Mae arriva a offrirsi volontaria per essere la prima persona al mondo a scegliere la trasparenza totale. Questo significa diventare la personificazione del ‘mantra’ di The Circle. La ragazza dovrà indossare una piccola telecamera durante tutto il giorno, permettendo agli spettatori di avere accesso a ogni cosa che farà: ogni azione, attività, conversazione, email. La fedeltà di Mae a ‘The Circle’ si rafforza ancora di più quando la società accetta di includere suo padre malato di sclerosi multipla, nel suo piano assicurativo. Sentendosi stanca di vedere il papà soffrire ogni giorno di più per una malattia sempre più invalidante e di assistere alle difficoltà della madre per ottenere le cure necessarie tramite la loro assicurazione, Mae è molto grata a ‘The Circle’ per la generosa offerta. Poco tempo dopo che il padre viene inserito nel programma assicurativo della società, Mae lo vede migliorare. La cosa fa aumentare il suo servilismo subconscio nei confronti di ‘The Circle’. La ragazza arriva così a sposare definitivamente la convinzione della società per cui lavora secondo cui più siamo connessi, più conoscenza condividiamo, migliori saranno le nostre vite.
“La conoscenza è bene. La conoscenza totale è anche meglio”. La battuta, pronunciata da Tom Hanks alias Eamon Bailey, è il mantra di ‘The Circle’.
Conoscenza totale, trasparenza, condivisione. E’ davvero la cosa migliore per le nostre vite?
Un’estremizzazione della realtà, un interrogativo sui rischi legati al dilagare dei social, la denuncia di un potenziale delirio social in cui rischia di cadere qualsiasi confine tra pubblico e privato: The Circle è un film di grande attualità, che mostra un rischio reale derivante dall’interazione tra esseri umani, tecnologia e affari. Questa è la società di oggi, queste sono le potenziali devastanti derive.
Abbiamo già visto in campo l’uso dei social in politica nelle recenti elezioni presidenziali americane, con i candidati che usavano Twitter per comunicare alla gente e scavalcare i media tradizionali. Ma se la trasparenza fosse totale e riguardasse tutti gli aspetti delle nostre vite?
Si tratterebbe di un totalitarismo nel quale saremmo tutti complici della nostra stessa oppressione?
Certo, la riflessione che stimola il film di Ponsoldt non è nuova, dal momento che gli stessi interrogativi sul rapporto tra uomo e media digitali sono già stati messi in evidenza dalla serie televisiva inglese “Black Mirror” che mette in scena le derive di una sorta di paranoia tecnologica.
Risalendo ancora più indietro nel tempo, quasi vent’anni anni fa, un film come The Truman Show mostrava, in un’epoca preistorica rispetto all’era social di oggi, la vita di un uomo ripreso da una telecamera fin dalla nascita e che per trent’anni viene filmato a sua insaputa in ogni istante e in ogni luogo della sua vita, ignaro di far parte di un grande show televisivo. Il voyeurismo come motore di attrazione irresistibile, l’invadenza dei media, la falsa verità di un’esistenza trasparente, temi urgenti già allora.
A vent’anni di distanza lo scenario è ancora più inquietante, essendo cambiate totalmente le dinamiche della nostra socialità, ma l’esistenza in streaming (commentata a colpi di ‘like’ e ‘tweet’) a cui si sottopone la protagonista non può non ricordare lo show di Truman.
Delicato, in questo caso, il compito di Emma Watson (la Hermione di Harry Potter ma anche deliziosa Belle nella recente versione live action de La Bella e la Bestia) chiamata a interpretare Mae, una giovane donna destinata a diventare guru, volto del cambiamento totale della società in nome di tecnologie capaci di tutto (persino di intervenire contro le dittature): la giovane diva ne esce tutto sommato indenne anche se la sua gamma espressiva non è ricca come un personaggio del genere avrebbe richiesto.
Perfetta invece la prova di Tom Hanks che offre il suo grande e navigato talento al personaggio di Eamon Bailey, capo carismatico con evidenti richiami a celebri guru dell’informatica .
Usi e abusi della tecnologia, propositi onesti solo di facciata, rischi della perdita della privacy in qualsiasi aspetto delle nostre vite: The Circle mette in scena una pericolosa forma di totalitarismo distopico in cui il mondo, legato ormai indissolubilmente alla rete, rischia di cadere.
E la grande invenzione di ‘The Circle’, un unico account universale valido per qualunque attività su internet (dal nome rivelatore di ‘TruYou’), non potrà non aprire un dibattito sull’estremizzazione di fenomeni e costumi già reali.
Al di là dei suoi limiti, dovuti soprattutto alla necessità di ridurre le quasi 400 pagine in un film di 110 minuti, il film di Ponsoldt ha il merito di lanciare l’allarme connesso all’abuso della trasparenza, alla violazione della privacy, all’uso indiscriminato di una ‘socialità’ che, in nome di una condivisione e di una comunità dai confini illimitati (in cui tutti abbiamo costantemente a disposizione la capacità di diffondere immagini in tempo reale), ha assunto un volto via via sempre più inquietante.
Elena Bartoni