The Deep Blue Sea – Recensione
The Deep Blue Sea è il film che ha aperto la sezione “Focus – Occhio sul mondo” dedicata al cinema della Gran Bretagna che comprende una vetrina con sette nuove pellicole, la retrospettiva “Punks & Patriots” con dodici film selezionati da sei esponenti di spicco della cultura britannica, due incontri (uno con Terence Daveis e Michael Nyman, l’altro con David Hare e Hanif Kureishi) e il Red Carpet floreale, installazione dell’artista Simon J. Lycett, da anni collaboratore della famiglia reale inglese e autore di numerosi allestimenti per il cinema.
Adattamento per il grande schermo di una pièce teatrale di Terence Rattigan del 1952, il film diretto da Terence Davies segna il ritorno del regista inglese al film di finzione a distanza di undici anni dal suo La casa della gioia (2000).
Nella Londra degli anni Cinquanta Hester (Rachel Weisz), bella moglie del maturo giudice della corte suprema Sir William Collyer (Simon Russell Beale), vive una vita agiata ma povera di emozioni. Un giorno, per caso, fa la conoscenza del giovane ex pilota della RAF Freddie Page (Tom Hiddleston) con cui intreccia una relazione extraconiugale. Innamoratasi perdutamente e travolta dalla critica moralista della società londinese dell’epoca, la donna lascia il marito per andare a vivere con l’amante in uno squallido appartamentino sacrificando ogni cosa. Ma ben presto Hester piomba in uno stato di angoscia e disperazione quando si accorge che il giovane, debole, tormentato e incline a rifugiarsi nell’alcool, non la ricambia con lo stesso sentimento potente che lei prova per lui.
Raffinato melò dalle atmosfere rarefatte, il film segue con ritmo cadenzato una potente partitura musicale che rischia di incombere pesantemente su una narrazione fatta di pochi dialoghi e lenti movimenti macchina un po’ fini a sé stessi.
E’ la storia di un amour fou in cui Eros e Thanatos si toccano fino a confondersi, una passione folle cieca e autodistruttiva che rode da dentro l’eroina romantica che finisce per perdersi in un dolore assoluto e totale, rifiutando infine anche l’ancora di salvezza offertale dal marito
Ma l’estremo rigore della forma, cifra stilistica cara al regista, imprigiona il film e ne fa un racconto estenuante e un po’ troppo chiuso nella gabbia di un testo di derivazione teatrale.
Convincente comunque la prova di un’intensa Rachel Weisz nei panni che furono già di Vivien Leigh nel precedente adattamento cinematografico del 1955 diretto da Anatole Litvak affiancata dal giovane emergente Tom Hiddleston, già visto in Thor di Kenneth Branagh e presente nel cast di Midnight in Paris di Woody Allen nei panni di Francis Scott Fitzgerald.
Elena Bartoni