The Hateful Eight – Recensione
Genere che vince non si cambia e così, per il suo ottavo film, il regista Quentin Tarantino, cambiando un po’ la squadra (oltre ai fedelissimi Tim Roth, Harvey Keitel, Michael Madsen e Samuel L. Jackson) ripropone una pellicola western, questa volta in salsa teatrale.
L’ambientazione cambia, dal sud schiavista di Django Unchained (2012) gli otto bastardi protagonisti sono immersi nel freddo del Nord America e stretti ed intirizziti, al caldo in una capanna, dimostreranno veramente di che pasta sono fatti: diversi tra loro, ma tutti egoisti e spietati fino all’ultimo sangue.
Nel ”primo atto” (anche se il film è diviso in cinque capitoli) entra in scena una diligenza, una macchia nera nello sconfinato paesaggio nevoso, che si arresta davanti alla figura del Maggiore Marquis Warren, famoso boia. All’interno John Ruth (Kurt Russell), un cacciatore di taglie che anche se con riserva, decide di dargli un passaggio. Nella carrozza anche Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), una fuorilegge in gonnella condotta alla forca da Ruth. Sono tutti diretti a Red Rock come il neo sceriffo Chris Mannix (Walter Goggins) e sarà nell’emporio di Minnie che troveranno rifugio, assieme ad altri ospiti: nessuno è chi dice di essere.
La capanna diventa il proscenio e le luci sono tutte puntate sugli ”otto odiosi”, ognuno doppiogiochista, scaltro ed egocentrico. Tarantino decide di mostrare il presente e il passato di quel luogo e dei personaggi, ognuno con la sua storia e i suoi segreti e lo fa descrivendoli a tutto tondo.
Tutti sono legati, il loro link è di parentela, presunta tale o solamente un rapporto instauratosi, lì, stando a stretto contatto. Tutti cercano, attraverso documenti, racconti e ricordi di dimostrare chi sono, ma la giustizia e la verità tanto sbandierate, si trasformano in dubbi, convinzioni per poi esplodere nella vera autenticità in una gara conclusiva all’ultimo sparo.
É infatti il climax finale, come ogni piéce teatrale che si rispetti, a dimostrare la potenza dell’intera sceneggiatura. Tutti si espongono e dimostrano la loro vera natura, protagonisti di una scena dove l’azione si costruisce man mano, fatta, rispetto agli altri film del regista, di meno sangue e più parole, ma ugualmente efficace.
L’unico punto debole da sottolineare, rappresenta forse la durata del film, quasi tre ore che si prolungano, facendo un po’ fatica ad ingranare a pochi minuti dall’inizio, ma dopo aver fatto la conoscenza dei temibili fuorilegge, nessuno escluso, lo spettatore ammira come un voyeur, le dinamiche e la sinfonia, diretta da Samuel L. Jackson, il vero mediatore tra film e pubblico.
A contribuire alla causa e a sottolineare ancora di più la funzionalità della scenografia e della fotografia, è senza dubbio la scelta di Tarantino di presentare oltre al digitale, anche una versione in pellicola 70mm, che ne esalta la spazialità, paesaggi ed interni compresi. Per non parlare della colonna sonora del maestro Ennio Morricone, perfetto connubio all’opera.
The Hateful Eight si rivela quindi un altro dei successi di Tarantino, che in perfetta unione con il precedente, si differenzia dagli altri per voler raccontare la Storia e come una matrioska, ne contiene anche delle altre. Segreti, flashback, parole ed immagini che costruiscono la pellicola, adatta ad un pubblico che ha pazienza, perché è la tensione, quella che si costruisce a poco a poco, a dar ritmo e vita al film.
Alice Bianco