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The impossibile – Recensione

Nella tranquillità e la pace di un magnifico resort in Thailandia, la famiglia Bennet composta da Maria, Henry e i loro tre figli, si sta godendo le vacanze natalizie in un vero e proprio paradiso tropicale. La mattina del 26 dicembre, mentre tutti i dipendenti dell’albergo sono affaccendati e i vacanzieri si stanno rilassando a bordo piscina, la terra comincia a tremare e di lì a pochi minuti un’onda di proporzioni gigantesche li colpisce con una forza d’urto indescrivibile, radendo al suolo tutto ciò che si trova davanti. Maria e il figlio più grande Lucas si troveranno da soli in mezzo all’acqua, in cerca di un appiglio per sopravvivere, domandandosi con angoscia che fine ha fatto il resto della loro famiglia. Questo l’incipit del film, ma anche una storia drammaticamente reale, quella che capitò alla famiglia Belon in occasione del devastante tsunami che colpì le coste dell’Oceano Indiano nel 2004, dalla Thailandia alla Somalia, uccidendo circa 300.000 persone. Juan Antonio Bayona regista che con la sua opera prima, l’horror-thriller The Orphanage, ha registrato un clamoroso successo di critica e pubblico in tutto il mondo, torna dietro la macchina da presa, coadiuvato nella sceneggiatura da Sergio G. Sánchez (con il quale aveva già lavorato nel suo esordio alla regia), per raccontare una storia incredibile, impossibile. Il film mantiene costante e ed elevata la tensione, soprattutto nella prima parte, nella quale l’evento naturale catastrofico viene rappresentato con tale dovizia di particolari, da trascinare con sé nel vortice dell’acqua anche lo spettatore seduto comodamente, all’asciutto, nella propria poltrona. Lo stile preciso, calibrato e mai ridondante raggiunge dei vertici altissimi quando nelle sequenze più concitate della tragedia, la forma viene mutuata dall’horror in termini di attesa, ignoto ed incubo, come in fondo ci si può lontanamente immaginare siano stati quei terribili momenti. La seconda parte, notevolmente più votata al melodramma, rischia in alcune sequenze di accartocciarsi nelle pieghe del melense, ma il regista riesce a svincolarsi da ciò sapendo dosare il pathos e la commozione. Naomi Watts, candidata come miglior attrice protagonista agli Oscar 2013 (una nomination che, nonostante l’indiscutibile bravura dell’attrice, sembra essere più riempitiva della categoria che non motivata), è il volto tumefatto e il corpo reciso di quella tragedia, mentre Ewan McGregor ed il giovane ed intenso Tom Holland rappresentano l’iniziale disperazione, ma anche la conseguente speranza, di chi non si arrese e cercò in tutti i modi di ritrovare e ricongiungersi con i propri cari.

Serena Guidoni
 

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