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The Judge – Recensione

C’è un universo cinematografico che, con il passare degli anni, sembrava essersi perso dietro a blockbuster fracassoni e commedie asettiche. E’ quel cinema solido, puro, che guarda in faccia lo spettatore e lo intrattiene con intelligenza, è quel tipo di cinema che tornano a regalarci Robert e Robert.  Duvall e Downey Jr, due facce della stessa medaglia, guidate da un un finalmente convincente David Dobkin, che con The Judge ci conduce in un mondo dove sfera lavorativa si interseca con quella famigliare, un mondo dove Hank Palmer, avvocato di una grande metropoli, si ritrova a dover tornare nella sua città natale per ricostruire il rapporto con il proprio padre, malato di tumore, giudice della cittadina che viene misteriosamente sospettato di omicidio.

Siamo talmente abitutati ad osservare un tipo di cinema fatto di effetti speciali, di CGI che ci meravigliamo quando da oltre oceano ci arriva una pellicola come The Judge che riesce a fare grandissimo intrattenimento utilizzando solamente, udite udite, una sceneggiatura solida e due attori completamente in parte. Perché il nuovo film di Dobkin ci regala un assaggio di quello che il cinema classico americano era o, speriamo, è ancora.

The Judge è una parabola del rapporto tra padre e figlio, del rapporto tra due persone in generale e di come il passato possa bussare ancora alla tua porta e aprirti ad un mondo che avevi deciso di chiudere fuori per sempre. Il regista, assieme agli sceneggiatori Nick Schenk (Gran Torino) e Bill Dubuque, costruiscono la pellicola attraverso una storia semplice, molto lineare che riesce a far provare allo spettatore tutta una gamma di emozioni, dalla rabbia, alla tensione, fino alla commozione, utilizzando solamente la bravura dei suoi due protagonisti. Duvall e Downey Jr, infatti, ci portano ad un crescendo di commozione facendo leva sulla loro sorprendente chimica e la capacità di essere, in qualche modo, uno la spalla dell’altro: su cui piangere, con cui scambiare battute, su cui arrabbiarsi.

C’è una solidità in The Judge che, negli ultimi tempi, fatichiamo a trovare nel cinema, c’è un attenta e studiata costruzione del climax generato da un’ altrettanto attenta costruzione dei personaggi, che portano lo spettatore a credere a ciò che vede. E così Dobkin ci riconduce alle radici di un genere, ad un cinema americano maiuscolo e folgorante che incanta senza trucchi, che emoziona senza sotterfugi, ma semplicemente con la potenza della vita con il suo trovarsi, perdersi e ritrovarsi.

Sara Prian

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