The Look of Silence – Recensione
Dopo l’interessante The Act of Killing, il regista danese-texano Oppenheimer sbarca al Festival del Cinema di Venezia, presentando un altro punto di vista della storia, non più quello degli assassini, bensì quello delle vittime e in special modo la convivenza fra i due, in una pellicola commovente, testarda come il suo protagonista, che angoscia e coinvolge con intelligenza ed oculatezza.
The Look of Silence analizza ancora il tema del genocidio in Indonesia e le purghe anticomuniste del 1965, offrendo una visione della tragedia da parte, in particolar modo, di uno dei sopravissuti, Adi, il cui fratello è stato torturato fino alla morte durante la rivoluzione da un gruppo di ribelli.
Adi è i nostri occhi e il nostro spirito è colui che, attraverso la macchina da presa di Oppenheimer, ci porta a vivere un genocidio che pochissimi di noi conoscono. Adi è la forza di coloro che hanno perso dei cari eppure, con estrema lucidità, riesce a confrontarsi con gli assassini, rievocando, senza mai l’uso della violenza, le tragedie nascoste nel silenzio di chi, per troppi anni, ha taciuto.
Oppenheimer ha una una padronanza del mezzo cinema e della sua macchina da presa davvero superlativo, diventando, anch’esso, il nostro occhio. Un occhio, però, neutro, che non giudica, uno sguardo silenzioso, come il titolo del film, capace di emozionare con sincerità e di urlare più di qualsiasi altra parola.
Un dolore, quello ritratto dal cineasta, altrettanto silenzioso, ma che squarcia lo spettatore dal di dentro, perché è in quei volti dilaniati da anni di sofferenze, dal tempo che è passato e ha cicatrizzato, ma non cancellato, le ferite, che si sviluppa The Look of Silence, un documentario che potrebbe essere benissimo considerato un film puro.
La pellicola non manca di insinuare nello spettatore dei quesiti sul perdono, sul rimorso, su come sanare una ferita ed è proprio grazie a queste domande che si dimostra la grandezza dell’opera di Oppenheimer, non più film solo di denuncia, ma film d’indagine. Sì, idagine dell’animo umano, su come esso possa trovare la forza per andare avanti e, forse, anche perdonare, un’indagine sul senso della storia, di come essa si divida in micro e macro cosmo e l’uomo si ritrovi ad avere un piede tra la propria storia personale e quella collettiva, venendo colpito in egual modo da entrambe.
The Look of Silence è una pellicola che incide il cuore dello spettatore, che distrugge e mette in pace, dove, a rimanere impressi, sono gli sguardi di chi è rimasto senza un figlio, i corpi che si trascinano cercando di vivere una vita normale con un peso nel cuore e, soprattutto, la sensibilità con la quale Oppenheimer si approccia all’argomento, trasmettendoci direttamente delle vere emozioni, come solo pochissime pellicole, e ancora meno documentari, riescono a fare.
Sara Prian