The Master – Recensione
Concorso – 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
In Concorso alla 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il nuovo film di Paul Thomas Anderson, ha riscosso immediatamente consensi sia di critica che di pubblico, e sicuramente non sarà passato inosservato agli occhi della giuria del Festival, presieduta da Michael Mann. Il regista di Magnolia e de Il petroliere (film che nel 2007 fece vincere l’Oscar come Miglior attore protagonista a Daniel Day-Lewis), ci regala un ritratto acuto e disarmante dell’America post bellica, dove i reduci della Seconda Guerra Mondiale una volta in congedo finiscono col vagabondare in cerca della propria identità, perduta nelle trincee o nelle spiagge del Giappone. La smania di ritrovare tranquillità e pace è un percorso impervio e faticoso, che passa attraverso l’abuso di alcool e una vita sregolata, destino ineluttabile di chi, una volta servito il proprio Paese, è da esso stesso rinnegato.
Questa è la storia di Freddie Quell reduce della Marina che torna a casa con delle ferite di guerra ben più profonde di quello che si immagina. Turbato e senza certezze nel futuro si imbatte casualmente in Lancaster Dodd, leader carismatico di una organizzazione, o meglio dire setta, che si fa chiamare La Causa (un non troppo velato riferimento a Scientolgy). Principi fondanti di questa nuova “religione” sono la credenza in vite passate, che possono tornare alla memoria e che servono da monito per il futuro, e la necessità di inibire ogni tipo di istinto animalesco e rabbioso, al fine di condurre la propria esistenza verso la pace. I profondi traumi di Freddie, legati non solo agli orrori della guerra ma anche ad un’infanzia difficile, gli impediscono di seguire alla lettera gli insegnamenti della Causa, i cui metodi poco ortodossi vanno in disaccordo con la sua voglia di indipendenza e libertà. Inizia così per lui un cammino di “redenzione” ad opera dello stesso Dodd, con il quale instaurerà un rapporto vincolante e malsano.
Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix (ci auguriamo una possibile Coppa Volpi), si sfidano senza tregua a colpi di bravura interpretativa, regalando allo spettatore una performance perfetta. Se solitamente Hoffman troneggia per maestria rispetto ai colleghi con i quali lavora, Joaquin Phoenix gli da qui del filo da torcere, dimostrando grandissima esperienza e capacità interpretative che forse non eravamo riusciti a scorgere nei suoi film precedenti. Non meno importante il ruolo della moglie di Dodd, Peggy (Amy Adams), figura emblematica e vero leader del movimento, che agisce in maniera subdola dal dietro le quinte. La scelta, indubbiamente costosa ma efficace, di utilizzare la pellicola nel formato da 70mm ha permesso ai vari reparti tecnici di dare il meglio e rinvigorire ed impreziosire le ambientazioni anni Cinquanta.
P. T. Anderson si conferma un regista abile sia nella scrittura che nelle scelte stilistiche, con un taglio del tutto personale ed avanguardistico nel panorama del cinema mondiale.
Serena Guidoni