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The Rum Diary – Recensione

E’ ben nota l’amicizia che legava Johnny Depp e il giornalista e scrittore Hunter S. Thompson (morto nel febbraio 2005), nata durante le riprese di Paura e delirio a Las Vegas (1998), film tratto dall’omonimo romanzo di  Thompson e diretto da Terry Gilliam, nel quale  l’attore americano interpretava il ruolo dello stesso scrittore. La stima di  Depp nei suoi confronti era talmente alta dal prendersi carico di rispettare le ultime volontà testamentarie di Thompson, il quale voleva che le sue ceneri venissero sparate nel cielo del Colorado.  La reverenza nei confronti del giornalista scomparso è continuata negli anni, come a voler sottoscrivere una campagna di legittimazione delle lungimiranti e sottilissime considerazioni fatte da Thompson nei suoi romanzi, tanto da far decidere al fedelissimo Johnny Depp di produrre ed interpretare un film tratto dal romanzo d’esordio: The Rum Diary. La pellicola racconta la storia del giornalista free lance Paul Kemp che stanco della confusione e della follia di New York e delle pesanti convenzioni sociali dell’America negli ultimi anni di Eisenhower, decide di trasferirsi a Puerto Rico per scrivere su un quotidiano locale, The San Juan Star, diretto da Lotterman (Richard Jenkins). Paul si adegua volentieri ai ritmi rilassati dell’isola e all’abitudine di bere continuamente rum. Incontra Chenault (Amber Heard), una bellissima americana del Connecticut della quale si invaghisce, fidanzata con Sanderson (Aaron Eckhart), ricco uomo d’affari implicato in loschi investimenti immobiliari. Sanderson è deciso a trasformare l’incontaminata Puerto Rico in un paradiso capitalistico a disposizione dei ricchi ed assume Kemp allo scopo di fargli scrivere in favore del suo progetto. A quel punto Kemp ha di fronte a sé una scelta: deve decidere se usare le sue parole per sostenere il corrotto uomo d’affari o per attaccarlo. Diretto da Bruce Robinson, visibilmente arrugginito dal punto di vista registico (l’ultimo film è stato Gli occhi del delitto del 1992), il film aveva sulla carta le più alte potenzialità che sfortunatamente non sono state sfruttate. La dedizione di Depp e un cast di altissimo livello, non sono bastati a restituire le atmosfere e le capacità narrative di Thompson, le quali avevano trovato una maniacale e quanto mai riuscita “topologia” nel lavoro di Gilliam. La narrazione, infatti, è spesso (se non totalmente) appiattita da una regia che non percepisce i reali punti di forza del romanzo e si pone esclusivamente al servizio dell’interprete principale senza il minimo slancio creativo.

Serena Guidoni

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