The Walk – Recensione
L’ultima ‘magia’ del grande Robert Zemeckis approda alla Festa del Cinema di Roma. Nella Selezione Ufficiale è stato presentato l’ultimo film del regista statunitense, The Walk 3D.
La follia di un grande sognatore, questo è quello che racconta la pellicola, tratta da una storia vera.
La vicenda è quella di Philippe Petit, l’uomo che, una mattina dell’estate del 1974, riuscì a compiere un’impresa che sembrava impossibile: camminare in equilibrio su un cavo d’acciaio fra le due Torri Gemelle (inaugurate in quell’anno) a circa 412 metri d’altezza. Petit e le persone a lui vicine (in primis la fidanzata Annie) prepararono con cura la sfida, tre mesi prima. Petit visitò le Torri Gemelle più di duecento volte con diversi travestimenti. Poi l’impresa, il funambolo restò sospeso nel cielo per più di 45 minuti mentre la polizia era lì accanto, pronta ad arrestarlo.
Regista da sempre attento a un’idea di cinema capace di giocare con lo spazio e il tempo (come non ricordare il ‘cult’ Ritorno al futuro di cui quest’anno si celebrano i 30 anni dall’uscita?), Zemeckis continua a raccontare storie di personaggi che con la tenacia, la voglia di riscatto, a dispetto di tutti e tutto, sono capaci di realizzare un sogno.
Questa volta, ancora di più che nelle sue opere passate, Zemeckis compie il prodigio di spingere la macchina da presa verso traiettorie incredibili, ben coadiuvato da uno staff tecnico di prim’ordine: basti pensare che l’esperto di effetti visivi Kevin Baillie ha recuperato importanti documenti per riprodurre circa trenta piani di interni delle Torri, e il team di Atomic Fiction ha lavorato mesi per ricostruire la downtown degli anni Settanta.
Dietro all’idea del film c’è anche il rapporto irrisolto del regista con le Twin Towers, da lui mai particolarmente amate ma mai neanche apertamente criticate. Certo è che l’impresa di quel funambolo francese può essere vista come un tentativo di attribuire una specie di ‘anima’ alle Torri Gemelle, unendole per qualche minuto fatale con una fune.
Occorre fugare un dubbio: come ha sottolineato lo stesso regista, non era sua intenzione girare un film sul significato del crollo delle due torri “ma studiarne la percezione e le sembianze”, rendere il fascino del “bilanciamento tra architettura e natura”, “l’incontro del piede di un artista e quei sostegni che toccano le nuvole”.
Spazio e tempo, passato e presente, sogno e realtà, tutto si collega magicamente in The Walk, una passeggiata speciale in cui si ha davvero percezione della multidimensionalità e della grande profondità (che Zemeckis sia uno dei primi sperimentatori nell’uso del 3D e delle sue potenzialità non è una novità).
Eccezionale la prova dell’attore protagonista, Joseph Gordon-Levitt, che si è sottoposto a una duro training per imparare a camminare in equilibrio su una fune d’acciaio e che ha allenato alla perfezione il suo accento francese.
Trascinante e divertente, a tratti mozzafiato per la grandiosità del 3D, il film (tratto dal libro “To Reach the Clouds” dello stesso Philippe Petit) appare davvero come un inno alla libertà creativa per mano di un regista da sempre attratto da storie e personaggi stra-ordinari (che ne dite di un certo Forrest Gump?).
“Il limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni” osservò Philippe Petit: e sul grande schermo ogni limite è da sempre superato proprio perché nulla è più vicino al sogno dell’esperienza cinematografica.
E forse nessuno come il mago Zemeckis (la sua filmografia parla, anzi fa sognare, da sola) ha dimostrato di saper far volare alto lo spettatore, questa volta superando se stesso coniugando alla perfezione emozione e tecnologia, realtà e illusione, possibile e impossibile.
Elena Bartoni