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The Wrestler – Recensione

Vincitore del Leone d’Oro per il Miglior Film alla sessantacinquesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, The Wrestler è un film di fallimenti, di autodistruzione, di sconfitta che emoziona dall’inizio alla fine.
Randy “The Ram” Robinson (Mickey Rourke) è un wrestler in decadenza. Alla fine degli anni ’80 fu un vero fenomeno: era famoso, acclamato, ricco ed invidiato. Ora, altro non è che l’ombra di quell’uomo: non ha una casa, non ha famiglia, non ha affetti, non ha denaro, né una professione dignitosa. Nulla per cui vivere davvero, nulla che lo gratifichi. Vive nel ricordo del tempo che fu, combattendo di tanto in tanto in match di poco conto, solo per provare l’adrenalina di un tempo, fin quando viene colto da un infarto e i medici gli vietano di combattere ancora: un altro incontro potrebbe essergli fatale. Costretto a lasciare definitivamente il wrestling, gli steroidi e ogni tipo di eccesso, Randy apre gli occhi su ciò che vuole davvero: una vita nuova e “normale”, proprio come quella degli altri. Riprende dopo anni i contatti con la figlia Stephanie (Evan Rachel Wood), nata dalla relazione con la sua ex moglie, ed inizia a frequentare Cassidy (Marisa Tomei), una ballerina di lap dance non più giovanissima.
Le cose vanno bene per un po’, ma al minimo soffio di vento il castello di sabbia della sua nuova vita cade a pezzi.
Una sceneggiatura ben scritta, la perfetta regia di Darren Aronofsky, ma soprattutto un casting fatto a pennello rendono questo film una vera perla degli ultimi anni. È tangibile la grande empatia di Mickey Rourke per il personaggio di quest’uomo, che ha vissuto la gloria e la fama per poi cadere nel buio più assoluto. Anche Rourke raggiunge l’apice negli anni ’80 e sparisce dal grande schermo per circa quindici anni, ma il ruolo di Randy “The Ram” Robinson lo fa decisamente tornare alla ribalta. La sua è un’ interpretazione sentita, profonda, sofferta, emozionante, il cui valore è stato riconosciuto anche dall’Accademy che lo ha candidato alla statuetta per il Miglior Attore protagonista nel 2009.
Anche il livello delle due principali attrici è sicuramente molto alto: la giovane Evan Rachel Wood (Thirteen, Across the universe) non ha certo bisogno di parlare per esprimere il risentimento misto ad amore e speranza di Stephanie. I suoi sono occhi che chiedono aiuto, le sue sono mani che vorrebbero essere strette da quelle di un padre assente proprio negli anni di maggior bisogno, ma che ora ha l’opportunità di riscattarsi. Marisa Tomei (What women want – Quello che le donne vogliono, Alfie) regala probabilmente la sua migliore interpretazione nel ruolo di una donna che vuole terribilmente essere amata, ma che allo stesso tempo si sente in dovere di proteggersi da qualcuno che la farebbe soffrire. È una donna che lascia a casa l’orgoglio per soldi e che sa far prevalere la mente sul cuore.
Ovvio che lo splendido lavoro del cast è accompagnato dalla perfetta direzione di Darren Aronofsky, che segue gli attori per coglierne gli animi, lavorando su primi piani e dettagli.
Una colonna sonora da brividi, pervasa di brani di gruppi metal anni ’80 ed impreziosita dal contributo di Bruce Springsteen, fa il resto.
Un film drammatico che rischiava di essere stucchevole, ma che emoziona grazie alla perfetta combinazione del lavoro del cast tecnico e di quello artistico.

Corinna Spirito

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