To the Wonder – Recensione
Concorso – 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
Le difficoltà dell’amore viste da Terrence Malick, regista schivo e parco nella produzione (appena sette film dal 1973) che torna a far parlare di se ad appena un anno di distanza dal suo capolavoro The Tree of Life, vincitore della Palma d’Oro nell’edizione 2011 del Festival di Cannes. Marina (Olga Kurylenko) e Neil (Ben Affleck), sono nella prima fase dell’amore, quella in cui tutto è meraviglia e si è soggiogati dalle aspettative nel futuro. Dopo essere stati in Francia i due, carichi di progettualità, decidono di tornare in Oklahoma, e iniziare la loro vita insieme, ma ben presto dovranno fare i conti con dei problemi che stanno all’apice del loro rapporto. Marina, non sente fino in fondo l’amore del proprio compagno e Neil riallaccia i rapporti con una sua amica d’infanzia, Jane (Rachel McAdams). La rottura è imminente e non priva di conseguenze. To the wonder riprende sostanzialmente i temi fondamentali affrontati nel precedente lavoro; l’amore sublime, il dialogo con Dio e con la natura e l’istintività del rapportarsi con essa, la perdita dei valori e la crisi della fede, e lo fa con la stessa intenzione evocativa delle immagini, dei suoni e dei colori che in The Tree of Life raggiungevano, però, una magnificenza e sontuosità impagabili. E’ purtroppo inevitabile il confronto fra i due film, soprattutto se si parte dal presupposto che la meditazione narrativa e l’idea stilistico registica è la medesima. Malick nel corso della sua carriera ci ha abituati a necessitare di un periodo di decompressione dai suoi film, durante il quale ci “disabituiamo” al suo cinema per poi farci catturare un’altra volta. Certo in qualche modo tutto ciò lo si può vedere come una sorta di continuità nella sua produzione, ma il suo essere intermittente e sporadico è ciò che ha fatto di Malick un regista di culto. Ritorna anche qui il tema della fede, o meglio della sua messa in discussione, con il personaggio del prete (interpretato da Javier Bardem) che rappresenta una sorta di intermezzo fra il primo stadio dell’amore, quello puro ed incontaminato, e il secondo più “terreno” e difficoltoso. La suggestione delle immagini, dove la telecamera è uno strumento tutt’altro che immobile, ma che accompagna i corpi e i luoghi danzando insieme a loro, non raggiunge in questo film le vette di The Tree of Life, dando l’impressione che To the wonder sia un lavoro stilisticamente ineccepibile ma sostanzialmente incompleto.
Serena Guidoni