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Tre tocchi – Recensione

C’è anche Marco Risi con il suo ultimo film, Tre tocchi, nella sezione Gala di questa nona edizione del Festival del Film di Roma.
Il film è una storia corale di sei uomini, sei attori, con tutte le loro passioni e frustrazioni, gioie e delusioni, successi e fallimenti. Sei uomini e una squadra di calcio (la Nazionale degli attori) in comune in cui ritrovarsi, confrontarsi, scontrarsi.
Vite profondamente diverse ma accomunate da due grandi passioni: il calcio e il lavoro. Ed è tra un allenamento e un provino che le esistenze di questi uomini continuamente si sfiorano e si incrociano, ci svelano la loro misera esistenza, fatta ogni tanto anche di successi e momenti di gloria, ma sicuramente mai di vera, assoluta, felicità.
Sei uomini, sei calciatori, sei appassionati di recitazione. Gilles è un giovane attore di soap di successo, bello, spavaldo nell’apparenza, ma così insicuro e debole che finisce nel tunnel della cocaina. Vincenzo passa le sue giornate ad accudire il padre in ospedale, è cupo e silenzioso, si mantiene cantando in un ristorante; vive una rabbia e una frustrazione tale che lo portano a sfogarsi nel sesso e nella violenza fisica. Leandro, il più grande del gruppo, torna nella sua Napoli, dove decide di chiudere i conti con un passato ingombrante e, sotto le mentite spoglie di Jennifer, il trans che interpreta a teatro, prova a rinascere rimettendo in discussione la sua esistenza. Anche Max, torna spesso nella sua terra natia, la Basilicata, ogni volta che vuole riprendersi da una delusione; si era illuso infatti di poter fare una vera carriera, ma si ritrova a un doloroso bivio. Antonio fa teatro grazie anche alla donna che lo mantiene e che ha trent’anni più di lui, ma è coraggioso e si è rimesso in discussione, ha studiato e ha rischiato. Affronta il provino che gli permetterà di fare il protagonista della sua vita, contro chi non credeva in lui. Emiliano invece si è arreso alle sue insicurezze, ha perso la voglia di farcela. Il lavoro da facchino e il passatempo da doppiatore hanno rubato tempo alla recitazione e lo hanno portato a rinchiudersi in un mondo fatto solo di sogni.
Dai campi di calcio di periferia, alle tavole dei palcoscenici, ai provini cinematografici. Il film segue i percorsi di sei uomini dal triste destino, aspiranti artisti destinati a non raggiungere mai le vette del successo. In un campo di pallone, come nel cinema e nel teatro. Come i “panchinari” in un campo di calcio che cercano un ruolo da titolare, così i sei attori di Tre tocchi sono in cerca del ruolo decisivo, della parte importante, quella che ti fa fare il vero salto verso la notorietà. Ma si scontrano con una realtà dura, la loro  condizione è quella dei tanti precari del mondo dello spettacolo, e alcuni di loro finiscono per cedere alle necessità quotidiane adattandosi a lavori umili ma senza smettere di sognare.
Il calcio e il palcoscenico, il calciatore e l’attore,  due mondi distanti eppure molto vicini.
“Concentrazione, visione, velocità”, sono i tre tocchi fondamentali che l’allenatore non smette di rimarcare, nel calcio come nella vita. E così il titolo del film assume grande valore metaforico.
Peccato però che uno spunto così interessante venga sprecato nel momento in cui viene tradotto in pagina filmica: il microcosmo dello spogliatoio dei nostri sei aspiranti attori è descritto da Risi con mano pesante, tra battute volgari, maschilismo (le donne sono viste prevalentemente come oggetto sessuale), sbotti di violenza. Il parallelismo tra due mondi non riesce insomma come dovrebbe.
Le pecche maggiori sono proprio nella mancanza di stile e in una sceneggiatura che evita di approfondire le psicologie dei personaggi: quello che ne viene fuori è un campionario di uomini di poco spessore prigionieri (o vittime) del desolante panorama cinematografico italiano.
Il cast non può nulla, seppur animato dalla buona volontà e dal talento di un gruppo di attori su cui spiccano per intensità Massimiliano Benvenuto (il pubblico televisivo lo ricorderà nella fiction “Donna Detective” accanto a Lucrezia Lante della Rovere), Leandro Amato e Antonio Folletto.
Sprecate e prive di senso le comparsate di ‘lusso’ di Francesca Inaudi, Valentina Lodovini, Marco Giallini, Luca Argentero, Claudio Santamaria e perfino Paolo Sorrentino.
E la preghiera-monologo recitata a turno da tutti gli attori in vista di un provino decisivo mostrato solo alla fine del film, resta un’occasione mancata per approfondire il tema del talento artistico spesso sprecato e solo occasionalmente illuminato dai riflettori della fama.
E tra monologhi teatrali ‘en travesti’, sequenze oniriche ispirate ai grandi divi hollywoodiani del passato, provini mancati, il cinema vero rimane solo un sogno.
Mentre nella realtà resta solo un campo di calcio.

Elena Bartoni
 

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