Tyrannosaur – Recensione

“Un film che parla a voce alta e forte”, così l’attore e neo-regista Paddy Considine, salito sul palco dell’Auditorium, ha sintetizzato in due parole la sua opera di esordio dietro alla macchina da presa, prima della proiezione al Festival del Cinema di Roma in cui il film è stato presentato nella vetrina della sezione “Focus” dedicata al cinema britannico. Affermazione lapidaria e quanto mai vera. Fin dalle prime sequenze Tyrannosaur spiazza, travolge, viene incontro e quasi sembra colpire dritto in volto lo spettatore.
Joseph (Peter Mullan) è un vedovo disoccupato e alcolizzato, tormentato e autodistruttivo. Un giorno conosce per caso Hannah (Olivia Colman) proprietaria di un negozio, una donna apparentemente serena ma in realtà prigioniera di un marito violento e disturbato. Mentre Hannah si rifugia nella fede religiosa per trovare conforto alle sofferenze e alle sevizie che quotidianamente le infligge il marito, per Joseph non esiste altro credo se non lo sfogo violento della propria rabbia interiore. Tra i due nasce un tenero legame di amicizia e di amore che aiuta entrambi a prendere coscienza di sé stessi e delle loro vite in una drammatica escalation di tragici eventi.
Due anime alla deriva, due sconfitti dalla vita, due persone votate allo scacco, due percorsi costellati di un dolore assoluto. Ma anche un percorso di redenzione.
Un film che rimanda da vicino al cinema di Ken Loach e che richiama alla mente anche alcune opere di Jim Sheridan ma che colpisce per uno stile personalissimo capace di toccare più corde contemporaneamente. Potente affresco della realtà proletaria delle disastrate periferie inglesi, coinvolgente dramma psicologico sulla violenza domestica ma anche struggente storia d’amore.
Semplicemente straordinario il protagonista Peter Mullan (già vincitore nel 1998 del premio per il miglior attore al Festival di Cannes per My Name is Joe di Ken Loach) ben affiancato dall’intensa Olivia Colman.
Violenza urlata e dolore sommesso, grida disperate e singhiozzi soffocati. Il film è questo, emozioni forti, dure, che prendono quasi per la gola e impediscono di girarsi dall’altra parte.
Sofferenza e poesia, sangue e lacrime, opposti che si toccano in un film girato con grande equilibrio. Un susseguirsi di scene perfette, un’alternanza di sequenze di cieca violenza (fulminante l’incipit con quel calcio mortale inferto al suo povero cane dal protagonista) e di momenti che commuovono conditi da dialoghi che colpiscono nel segno.
Un film potente come il preistorico “tirannosauro” del titolo (la cui spiegazione è affidata al protagonista ma che non sveliamo per non intaccare la forza emotiva di quella scena) che ha già colpito al Sundance Festival 2011 vincendo il World Cinema Directing Award e il Premio Speciale della giuria per le performance dei due protagonisti.
Un’opera difficile da dimenticare. Chapeau per il giovane Considine e per il suo magnifico interprete.
Elena Bartoni