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Un tirchio quasi perfetto – Recensione

E’ noto che in terra d’Oltralpe fu inventato il più celebre tirchio di tutti i tempi, Arpagone, protagonista de “L’avaro”, capolavoro indiscusso di Molière e del teatro di tutti i tempi.
Strano ma vero, proprio il cinema francese non ha mai dedicato un film intero a una figura di taccagno (fatta eccezione per L’Avare di Louis de Funès del 1980), così potenzialmente ricca di spunti comici.
Seconda curiosità: il fatto che l’idea sia venuta a un regista non avvezzo al genere commedia, quanto piuttosto al polar e all’action thriller. Ebbene si, perché la filmografia di Fred Cavayè è fatta per lo più di polizieschi: da Anything for Her – Pour Elle (rifatto negli USA con il titolo di The Next Three Days), a Point Blank, a Mea Culpa. Ecco però al quarto lungometraggio, il cambiamento di rotta, complice quella star della comicità francese che risponde al nome di Danny Boon.

François Gautier (Dany Boon) è un grandissimo tirchio. Risparmiare gli dà gioia, l’idea di spendere lo fa sudare freddo. Violinista talentuoso, vive con un bassissimo profilo, e ha una relazione esclusiva con i soldi. Ma la sua vita viene sconvolta in un solo giorno: si innamora di una collega violinista e scopre di avere una figlia di cui ignorava l’esistenza (frutto di un rapporto con un preservativo scaduto da anni). Proprio attraverso il rapporto con sua figlia, che crede che egli risparmi perché è il benefattore di un’associazione che aiuta bambini messicani, François imparerà a essere diverso e a crescere.

Dopo aver ironizzato sui piccoli e grandi pregiudizi delle regioni del sud e del nord della Francia (Giù al Nord, successo clamoroso che ha ispirato anche due celebri remake italiani), dopo aver indossato i panni del doganiere francese in un’altra commedie su piccoli e grandi razzismi (Niente da dichiarare?), dopo aver prestato corpo e anima a un ipocondriaco e malato immaginario (Supercondriaco), mancava a Dany Boon proprio il ruolo di un Arpagone 2.0.
Un tirchio quasi perfetto (banale traduzione italiana del più calzante e fulmineo originale Radin! ossia Tirchio!) è in effetti un vero ‘one man show’, costruito su misura per l’abito consumato e le vecchie scarpe (guai a comprarne delle nuove!) del comico più popolare di Francia.
Si perché il suo taccagno domina la commedia dalla prima all’ultima scena, facendo si che il film si regga unicamente sulle tante situazioni comiche vissute dal signor Gautier. E così le scene in cui il nostro protagonista dà sfoggio della sua proverbiale tirchieria la fanno da padrone: dalla spremitura del flacone di ketchup scaduto da anni, al ‘rimbrotto’ alla cassiera del supermercato rea di aver sbagliato il conto di ben (!) tre centesimi, fino  a una cena costosissima a base di pesce cui è stato coinvolto dalla donna di cui si è invaghito, la violinista Valèrie.
Ma sono ben due gli incomodi che mettono a rischio l’attenta arte del risparmio: una figlia, Laura, che improvvisamente va a vivere con lui e l’attrazione per la suddetta bella violinista.
Che doccia fredda per uno come lui che vive con la luce delle candele, si lava con l’acqua fredda, mangia cibi scaduti da una vita, possiede un solo vestito e un solo paio di scarpe! Che dire poi, di quando finisce all’ospedale preda di attacchi di ‘tirchieria’ e viene rispedito a casa con un paio di ansiolitici?
Più interessante la lettura metaforica che lo stesso Boon ha dato dell’avarizia di Francois che “incarna all’avarizia di una società che si protegge dietro i muri, si chiude dentro per paura di essere depredata”. Ed è qui che entra il gioco il vero Boon, nato nella regione di Pas-de-Calais (si, proprio quella di Giù al Nord) da padre algerino e madre francese di professione donna delle pulizie, che ha manifestato il suo dissenso contro l’avanzata dell’estrema destra in quella regione della Francia del nord definita “giungla dei migranti” (quella di Giù al Nord appunto) e dichiarando che votare per il Front National non risolverà nessun problema.
Fin qui nulla da dire, ma è un peccato che, di un personaggio affetto da un’ossessione sulla carta complessa e sfaccettata, sullo schermo venga mostrata solo la faccia più semplice e immediatamente capace di suscitare ironia.  
Pollice verso comunque per l’interpretazione di Dany Boon, ormai una garanzia di risate e incassi (almeno in terra di Francia, dove il film ha avuto grande successo), perfetto per dar vita a uomini dalle ossessioni e dalle nevrosi incurabili. Accanto a lui due, presenze deliziose come Laurence Arné (nota in Francia per la serie televisiva di successo “Workingirls”) nei panni della violinista che accende il cuore del protagonista, e Noémie Schmidt in quelli della figlia Laura.
Una commedia leggera leggera, adatta al grande pubblico che cerca spensieratezza, anche se le risate sono relegate soprattutto alla prima parte (e alle gag del nostro campione di tirchieria), sconfinando in un finale, tutto ‘familiare’, debole e troppo zuccheroso.

Elena Bartoni 
 

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