Una Domenica Notte – Recensione
Metacinematografia. Il ruolo del regista nell’Italia attuale, la difficoltà di fare i film, le pellicole indipendenti che faticano a trovare spazio nel nostro mercato: queste le tematiche principali dell’interessantissimo film di Giuseppe Marco Albano, Una domenica notte, che non ha niente da invidiare al cinema che riempie le nostre sale, anzi.
Antonio ha sempre sognato di diventare un grande regista di film dell’orrore. Dopo il suo primo lungometraggio a 26 anni, però, qualcosa si inceppa e, a causa dei mille problemi della produzione, il film esce solo in home video in Germania. La quotidianità, la famiglia lo bloccano nella sua cittadina e a 46 anni vorrebbe fare il film della sua vita, ma dovrà fare i conti con la realtà.
Essere regista o film maker? La differenza che a noi sembra minima in realtà non lo è e Albano ce lo vuole far capire fin da subito. Il suo protagonista è un uomo che desidera ardentemente realizzare il suo sogno anche se ormai, per il mercato dello spettacolo, non è più di primo pelo.
La domanda che aleggia durante tutta la pellicola è una: il cinema è arte oppure un mero mezzo per fare soldi? La risposta sembra chiara, soprattutto se si dà uno sguardo alla programmazione delle nostre sale, invase da blockbuster, mentre i film indipendenti, piccoli, scalciano per trovare il loro posto.
Come ben sappiamo, non è il denaro a fare la qualità, ma è quello a decidere chi deve avere un posto tra l’olimpo e chi, invece, deve stare nel campo a guadagnarsi il pane con il sudore della fronte.
Per Albano, l’anima e le emozioni vengono sacrificate per dare più spazio solo a ciò che vende e il mercato è ben rappresentato da tutte quelle persone che Antonio incontra per finanziare la sua pellicola.
Un mondo ostile fatto solo di guadagni e poco di arte, dove la vita privata del regista Antonio si fonde irrimediabilmente con quella lavorativa, come se la crisi cinematografica si ripercuotesse immediatamente sulla vita di tutti i giorni. Mecenate in questa epoca, non ne esistono, tutto è fatto per avere un tornaconto personale e il regista si ritrova ad essere una semplice marionetta in mano a forze più grandi.
Interessanti anche gli intermezzi horror che ricordano il nostro cinema anni ’80 e che rendono ‘Una domenica notte’ un film originale nella capacità del regista di saper compenetrare generi differenti di cui si sente l’influenza dei grandi cineasti italiani, come Ciprì o Sorrentino, soprattutto nell’impostazione registica.
Una lunga lettera d’amore al cinema piccolo e a quello di una volta che ha segnato tutti noi e che troppe volte ci dimentichiamo di accudire, di tenere accanto a noi e che poi si perde, rischiando la propria esistenza, come il gatto che per tutta la pellicola il protagonista cerca di recuperare.
Un’opera prima di spessore, che mostra la crisi dal punto di vista del cinema, di tutte quelle persone che credono ancora nell’arte e nei loro sogni e che finiscono, troppe volte, per mettere in discussione loro stessi e le loro capacità.
Sara Prian