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Una notte in giallo – Recensione

Ricordando un po’ le commedie screwball americane degli anni ’30-’40, così come quelle degli equivoci e tingendolo, oltre che di giallo anche di rosa e aggiungendogli un po’ di azione, il regista Steven Brill ha costruito e diretto Una notte in giallo, un film che finisce per essere un inno al sessismo e con una morale, lasciando però spazio anche alle risate, con le divertenti gags della spigliata Banks e i personaggi che incontra strada facendo.

Los Angeles, Meghan (Elizabeth Banks) è un’ambiziosa giornalista televisiva, che sta per essere promossa ad un ruolo di primo piano in un’importante rete nazionale. Dopo una giornata disastrosa, scopre di essere stata lasciata dal fidanzato e di non avere neanche ottenuto la promozione. Per tirarla su di morale, le sue migliori amiche, Rose (Gillian Jacobs) e Denise (Sarah Wright) la convincono ad uscire e in un locale Meghan conosce il barista, Gordon (James Marsden) con il quale trascorre la notte. Il mattino seguente si sveglia nell’appartamento di lui, non sa più dove siano finiti cellulare e borsa, usa il telefono fisso per controllare la segreteria telefonica e scopre di essere ancora in corsa per la grande promozione, a condizione di arrivare negli studi la mattina dopo alle 5. Senza svegliare Gordon, Meghan infila l’abito succinto della sera prima e, senza soldi e documenti si avventura nella cittadina per riuscire a raggiungere gli studi televisivi.

Una notte buia ed una donna vestita di giallo che vaga per le strade di Los Angeles con una meta da raggiungere entro le prime ore del giorno. Tra varie peripezie, incontri casuali con personaggi che popolano queste strade e molta sfortuna, questa particolare notte si rivelerà però istruttiva, cambierà Meghan e i suoi principi.

Tra improbabili baristi che in verità sono degli intellettuali, tassisti che girano con una pistola in mano per difendersi dai delinquenti del quartiere, che poi così pericolosi non sono e poliziotti incapaci per i quali ti senti poco sicuro, Meghan capirà la vera natura di Los Angeles e dei suoi abitanti, ma soprattutto la differenza fra pregiudizi e verità.

Quella descritta e mostrata da Brill non è la classica ricca Los Angeles che siamo abituati a vedere, con Beverly Hills, Hollywood e lustri e lustrini, quella in cui vaga Meghan è la Città degli Angeli rifiutati da quel paradiso e che il regista, insolitamente, ha fatto attraversare senza paura, ma con un po’ di vergogna, ad una donna provocante.

Tutto il male non vien per nuocere e l’abito non fa il monaco, è proprio citando questi due famosi proverbi che i regista, ponendo al centro della vicenda una Elizabeth Banks che indossa dei panni decisamente appariscenti, vuol far della morale e far riflettere sul significato dei pregiudizi, della superficialità e dell’ossessione sessuale, creando l’atmosfera giusta, con gags e fraintendimenti che rendono il tutto più divertente.

Nonostante la poca originalità alla base della sceneggiatura, con una serie di trovate e scene ben costruite e girate, l’idea di portare in vigore la commedia di qualche decennio fa e aggiungendo anche una regia ed un’attenzione ai dettagli visivi, Brill è quindi riuscito a dar vita ad una pellicola buonista, particolare e in grado di far fare quattro risate allo spettatore.

Alice Bianco

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