Una volta nella vita – Recensione
“La storia non va studiata, va compresa”, l’hanno imparato bene gli ex studenti di un liceo di una banlieu parigina, tra questi Amhed Dramé, un musulmano africano che sognava di diventare sceneggiatore e c’è riuscito, decidendo di scrivere concentrarsi su un tema ed un progetto scolastico, che lo aveva colpito nell’adolescenza: la Shoah.
Il film, diretto da Marie-Castille Mention-Schaar, intitolato in originale ”Les Hériters” (Gli eredi), racchiude nella sua coralità proprio la comprensione, la morale di ciò che significa ”conoscere la storia, imparare per non commettere gli stessi errori” e l’importanza ed esigenza di non dimenticare.
È il liceo Léon Blum ed in particolare una seconda multiculturale ed indisciplinata ad essere al centro della vicenda. L’unica in grado di tenere a bada gli allievi è la professoressa di storia, Anne Gueguen (Ariane Ascaride), che contro il parere di tutti sceglie proprio la classe per partecipare al concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione. L’impatto con la Shoah e le storie di coloro che hanno vissuto quei momenti terribili, farà crescere e riflettere i ragazzi.
Musulmani, ebrei, bianchi, neri, un pot-pourri di individui disuniti, in lotta fra loro, ma legati da un avvenimento indelebile: il genocidio degli ebrei. Proprio trattando questo argomento, la professoressa Gueguen riesce a coinvolgerli, dando loro modo di comprendere la storia e capire come poter vivere e convivere con chi è diverso.
Una materia scolastica e la scuola diventano così il motivo per imparare, al di là dei libri, cos’è stato veramente l’Olocausto, come i sopravvissuti e non, meritino rispetto, ma soprattutto li aiutino a crescere, a mostrare comprensione e considerazione per gli altri, al di là della religione che si professa e delle idee differenti.
Un macrocosmo e un macro-argomento affrontati da un gruppo micro, quello di una classe di studenti, che proprio per il loro multiculturalismo, riescono a comprendere al meglio, ad entrare in empatia con gli adolescenti (Anna Frank solo per citarne una) del genocidio, fino a prestare la propria voce e testimoniare la brutalità di ciò che avevano vissuto.
Toccante, a conclusione, l’incontro tra i ragazzi ed uno dei sopravvissuti alla tragedia (Léon Zyguel), una sequenza girata quasi con uno stile documentaristico, quello che la regista avrebbe potuto adottare per l’intera pellicola, e di forte impatto anche nello spettatore.
Commovente è anche la trasformazione della classe, da gruppo disunito a coeso e il rapporto di rispetto ed amicizia che si instaura fra loro e l’insegnante. Al di là della sua riuscita artistica però, quello che Una volta nella vita dà, è un forte valore emozionale, capace di far riflettere, adolescenti e non, perché come disse Primo Levi: ”Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.
Alice Bianco