Un’Estate in Provenza – Recensione
L’aveva già diretto in Vento di primavera (2010), questa volta la regista Rose Bosch, decide di posizionare il famoso attore francese Jean Reno, nella campagna avignonese, vicino alla Provenza e alla Camargue, nell’estremo sud della Francia, dando vita ad una commedia classica, ricca di colori e folklore.
Reno è Paul, il nonno del piccolo Theo sordo dalla nascita (Lukas Pelissier), del 18enne Adrian (Hugo Dessioux) e della sorella adolescente Leà (Chloé Jouannet): i ragazzi arrivano in Provenza dall’elegante Parigi assieme alla nonna Irene (Anna Galiena) per trascorrere l’estate lì. Non è la vacanza dei loro sogni e in meno di ventiquattro ore è scontro generazionale con il nonno, un olivicoltore rigido e burbero che non hanno mai conosciuto a causa di un vecchio conflitto familiare con la madre.
Un film che sbarca sugli schermi italiani con due anni di ritardo, forse più adatto al periodo estivo (come suggerisce il titolo italiano) che non a quello primaverile, Un’estate in Provenza avviluppa immediatamente lo spettatore grazie all’atmosfera allegra e vivace della Provenza, con i suoi prati verdi, le coltivazioni e i piccoli paesi caratteristici.
Ed è proprio la classica storia del ”topo di campagna e del topo di città” con i loro rispettivi pro e contro, ad animare la pellicola. La vita semplice del contadino procace Paul viene stravolta dai cosmopoliti e sempre connessi alla rete, nipoti, anche se lo scontro generazionale ha origine in tempi più remoti: la prima a fuggire dalla campagna e dal padre arcigno è la madre dei tre.
Ciò che vuol gridare il film è però, oltre ai tanti buoni sentimenti, la commistione possibile fra i due mondi, quello campestre e quello caotico della città, così come gli adolescenti possono aiutare gli adulti, che a loro volta hanno tanto da insegnare ai figli e nipoti.
Senza dubbio le scene più riuscite del film sono quelle che sprigionano la gioia di vivere: dalle notti folli degli anni ’60-’70 dei nonni alle feste paesane del 2014, ma anche le visioni dal punto di vista del piccolo Theo, non udente, che acquista fin da subito un certo feeling con il nonno, l’unico in grado di fargli usare e ”sentire” con gli altri quattro sensi. Le sequenze con il bambino avrebbero dovuto essere maggiormente approfondite e allora sì, che il film avrebbe potuto considerarsi migliore.
”Film cartolina” che lascia largo spazio alla scenografica bucolica, con scorci di grande fascino (spiaggie e cavalli della Camargue) e folklore locale, Un’estate in Provenza sembra fatto apposta per invogliare il pubblico a visitare i luoghi della vicenda, ma riesce anche nel suo intento di far divertire, seppur con una sceneggiatura semplice, un po’ superficiale e telefonata, che se non fosse stata così ancorata ai luoghi comuni, avrebbe potuto dare di più.
Alice Bianco