War Horse – Recensione
Se credete che il cinema sia una fabbrica di sogni , ai sogni sarete costretti ad abbandonarvi come piccoli scolaretti, scrollarvi di dosso cinismo e disillusioni e aprir gli occhi per qualcosa che non avreste mai pensato di veder prima. E’ questo l’unico modo per apprezzare quest’ultima “fatica” di Spielberg, perché se rimarrete ostinatamente scettici tutto finirà col sembrarvi artificiale, i sentimenti sfumeranno nel sentimentalismo e le favole perderanno ogni elemento di fascinazione. Tratto dall’omonimo romanzo, War Horse non rientrerà certo nei capolavori del regista ma resta un film perfettamente fedele al suo autore. Al centro della storia l’amicizia tra un ragazzo, Albert (Jeremy Irvine) e il suo cavallo, Joey, acquistato ad una fiera dal padre Ted (Peter Mullan), nonostante le gravi difficoltà economiche in cui versa la famiglia di agricoltori. Deciso ad addestrarlo, il ragazzo domerà l’indomito puledro rendendolo utile alle fatiche dei campi e i due diventeranno presto inseparabili. Ma a spezzare il bel legame saranno le impietose condizioni economiche in cui la famiglia Narracott si troverà allo scoppio della Grande Guerra e che costringeranno il capofamiglia a disfarsi del cavallo, vendendolo ad un ufficiale della cavalleria inglese in partenza per il fronte. Da qui l’animale cambierà spesso proprietario, passando di mano in mano servirà prima l’esercito tedesco e sarà più tardi la docile compagnia di una ragazzina francese, finché lo stesso Albert non si arruolerà alla ricerca del fedele amico. Il legame tra il ragazzo e l’animale diventa così lo spunto per riflettere sulla disfatta dell’uomo nella disumanità della guerra attraverso un racconto edificante ed appassionato, preoccupato ogni oltre “ragionevole” limite di farvi emozionare. E’ proprio qui il punto focale del film, se saprete regredire al bambino che siete stati, ve lo godrete come una favola consolatoria, rimarrete col fiato sospeso nell’incredibile scena della carica della cavalleria inglese contro i tedeschi e vi commuoverete vedendo Joey sperduto e ferito nella terra di nessuno. Se al contrario resterete cinici e freddi come la vita reale vi chiede oggi di essere vi sembrerà un melodramma retorico, apologia del sentimentalismo e della “lacrima facile”, vi soffermerete sulla discutibile scelta di lasciare i dialoghi dei due eserciti in italiano, cambiandone solo l’accento e il tramonto finale, laccatissimo ed artificiale, omaggio a Via col Vento, vi strapperà una risata piuttosto che un singhiozzo. A voi la scelta.
Daniele Finocchi