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Whiplash – Recensione

Whiplash ovvero ‘colpo di frusta’, letteralmente. Ed è questa la prima impressione suscitata dalla visione del film, un colpo di frusta schioccato davanti allo spettatore.
La storia è quella di un giovanissimo musicista, il diciannovenne Andrew (Miles Teller), che coltiva il sogno di diventare uno dei migliori batteristi jazz della sua generazione. Studia al Conservatorio Shaffer di Manhattan dove la concorrenza è spietata. Il ragazzo ha come obiettivo quello di entrare in una delle orchestre del Conservatorio diretta dall’inflessibile e severissimo professor Terence Fletcher (J.K. Simmons). Quando viene a sorpresa scelto da Fletcher per la propria band, Andrew si lancia, sotto la sua guida, alla ricerca dell’assoluta eccellenza.
Un inferno. Proprio così, il percorso di studi musicali del protagonista scelto da un ‘cattivo maestro’ si trasforma in un inferno di prove, umiliazioni, esercizi durissimi e interminabili. Agli standard elevatissimi, al limite della perfezione assoluta, richiesti dal professore, Andrew risponde con sudore, lacrime, sangue. Tanto sangue, tra le mani, sui piatti della sua batteria, nell’anima.
Nato come corto e poi trasformato in lungometraggio, Whiplash è l’opera seconda di Damien Chazelle, regista appena trentenne che nel 2009 ha diretto Guy and Madeline on a Park Bench, raffinato esercizio di stile in bianco e nero costruito come una jazz session che aveva per protagonista un atro giovane musicista, un trombettista emergente, un film pieno di ricordi del cinema che fu. Anche in Whiplash c’è un bell’omaggio al cinema del passato in una scena in cui il protagonista Andrew va con suo padre in un cinema di New York dove proiettano Rififi indimenticabile noir di Jules Dassin. Il clima si fa bello, le strade di New York sono mostrate al suono della musica jazz conferendo al film quella fascinosa atmosfera un po’ retrò, quasi ci si trovasse in un tempo sospeso tra passato e presente.
La descrizione di un certo ambiente e di alcuni caratteri è perfetta, agevolata dal fatto che il regista ha un padre di origine francese e per di più vanta un passato da studente di batteria jazz.
Ma qui i diversi richiami autobiografici (Chazelle ha definito il film “un diario della mia esperienza” e ha raccontato di avere avuto un insegnante da incubo come Fletcher) si fermano, per superare se stessi in una parabola su temi come la solitudine dell’artista, le sue responsabilità, la dura legge della competitività. L’omaggio al mito di Charlie Parker è evidente in una delle scene più forti del film che riprende un famoso e vecchio aneddoto quando un sedicenne Parker provò a suonare con l’orchestra di Count Basie e, sbagliato un passaggio, si vide scaraventare addosso un piatto lanciato dal batterista Jo Jones.
E in Whiplash il paradosso del jazz viene magistralmente espresso in un via vai di sessioni, prove, giochi al massacro. Come ha giustamente sottolineato Chazelle “Il jazz è sempre stato visto come una forma d’arte libera, totalmente improvvisata. Ma questo contrasta con le storie di direttori d’orchestra totalmente tiranni o di musicisti che si facevano le scarpe a vicenda”, un paradosso affascinante, stimolante, dall’alto valore simbolico.
Il rapporto tra un allievo e un maestro che da più parti si è accostato al Sergente Hartman di Full Metal Jacket di kubrickiana memoria è fatto di un crescendo drammatico che ha il suo apice nelle dure violenze psicologiche e fisiche cui l’insegnante sottopone i suoi allievi: ma se questi modi poco ortodossi portano all’eccellenza si può soprassedere dalla condanna?
E’ qui la chiave di un perfetto equilibrio, man mano che il film procede non si può fare a meno di distaccarsi anche dal protagonista: si capirà che non c’è nulla di eroico nel suo egocentrismo e nel suo progressivo alienarsi dai rapporti umani. No, le sue dita spaccate e sanguinanti e il suo sacrificio degli affetti, non portano lontano. E l’ammirazione fine a se stessa del virtuosismo portato all’eccesso è autocelebrazione pura, pagata col prezzo dell’isolamento.
I due protagonisti rendono ancor più grande il lavoro di Chazelle. A svettare l’interpretazione di J.K. Simmons nei panni del professor Fletcher: il suo cranio lucido, il suo fisico muscoloso, i suoi abiti neri, il suo sguardo gelido, le sue urla, tutto concorre a rendere sua prova perfetta.
Ma anche Miles Teller non è da meno, e la sequenza finale dove il suo batterista raggiunge un ritmo parossistico in un virtuosistico assolo, è da antologia. Anche (e soprattutto) per chi non conosce bene il jazz.
Un film orgogliosamente indipendente, girato al ritmo travolgente di una partitura (Whiplash è il titolo un pezzo suonato dalla band nel film, copia sofisticata dello stile del batterista jazz Buddy Rich degli anni ’50, in realtà scritto da Justin Hurwitz curatore delle musiche di tutta la pellicola), raffinato outsider nella corsa agli Oscar e meritevole del massimo dei voti, già vincitore al Sundance Film Festival del Gran Premio della Giura e del Premio del Pubblico come Miglior Film Drammatico, oltre che del Golden Globe per il Miglior Attore Non Protagonista a J.K. Simmons. Riconoscimenti, neanche a dirlo, meritatissimi.
Whiplash ha ottenuto cinque nomination all’Oscar (miglior film,  sceneggiatura non originale, attore non protagonista, montaggio, sonoro).
Gli auguriamo il miglior risultato possibile. Con un ‘colpo di frusta’ così, non si può rimanere indifferenti.

Elena Bartoni
 

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