Youth – La Giovinezza – Recensione
Vita-morte, amicizia-amore, musica-silenzio, gioventù-vecchiaia, questi sono solamente alcuni degli opposti, che nel nuovo bellissimo dipinto pittorico di Paolo Sorrentino, trovano la loro capacità di coesistere, come facevano la musica e i colori in un quadro di Kandinsky. Youth- La giovinezza è infatti un esplosione di colori, chiaroscuri, melodie, emozioni, risate, intimismo e dolcezza, un connubio di elementi, magistralmente orchestrati da Caine e dalla sapiente e delicata mano di un’artista come Sorrentino.
I protagonisti della pellicola sono Fred (Michael Caine) e Mick (Harvey Keitel) amici da moltissimo tempo che, ora ottantenni, trascorrono un periodo di vacanza in un hotel nelle Alpi svizzere. Fred, compositore e direttore d’orchestra in pensione, non ha alcuna intenzione di tornare al lavoro, mentre Mick, regista di altrettanto spessore, sta lavorando al suo nuovo e forse ultimo film, per il quale vuole come protagonista la vecchia amica e star internazionale Brenda Morel (Jane Fonda). In quell’hotel però, passano un periodo di relax anche altri personaggi particolari, tra cui l’attore Jimmy Tree (Paul Dano) e Miss Universo (Madalina Ghenea).
Mick e Fred sono accomunati dalla consapevolezza del tempo che passa, dall’aver vissuto appieno la vita e la volontà di tramandarne la bellezza ai posteri, alla gioventù, che convive senza distinzione di genere, in questo paradiso montano, sospeso nel tempo.
I due attempati amici non hanno nulla o quasi del Jep di Toni Servillo, forse solamente una vita sregolata fatta di amori clandestini, successi e rimpianti, ma nessuna immagine a cui fare riferimento, solamente fotogrammi di un passato lontano, i cui contorni via via diventano sempre più sbiaditi.
Ed è in questa particolare location, fra i paesaggi verdeggianti delle Alpi Svizzere, in un albergo-spa a metà fra il Budapest Hotel di Anderson e il Grand Hotel di Fellini che prende vita la nuova avventura di Sorrentino. Un enorme dipinto visivo, sospeso fra realtà e finzione, in cui tanti solisti (“tutti noi comparse in questa vita”), ognuno con una propria storia, danno vita ad una narrazione atipica, che seppur nella sua staticità e nei suoi silenzi, dice saggiamente molto.
Passato, presente e futuro, uniti alla memoria e al desiderio, sono colonne portanti del film, definiscono i momenti idilliaci di Youth, che finisce per diventare un inno all’eterna giovinezza, dove anima e corpo si separano: la prima è quella più difficile da mostrare agli altri, che nasconde in sé il vero Io, il secondo invece, tonico o decadente, è la parte più superficiale, che pochi tengono nascosta.
In Youth, tutto si muove quindi in un’alternanza tra vecchiaia e giovinezza, dei pensieri, dello stile di vita, del cinema, della musica, in un’estrema fluidità, pacatezza, con divertimento e la giusta dose di sentimentalismo. La musica poi, grazie al bravissimo David Lang, si impone quasi come un personaggio, anch’essa in bilico fra melodie moderne e sinfoniche Canzoni semplici.
Virtuosismi presenti non solo in queste melodie, ma anche alla regia. Il regista napoletano infatti, regala allo spettatore degli efficaci tableau vivants, impressiona, diverte e grazie anche ai dialoghi, per nulla banali, non finisce di stupire, senza quella presunta intellettualità, poco cara anche a Fred. Del resto, come dice Mick, “le emozioni sono tutto quello che abbiamo” e quindi grazie Paolo Sorrentino, per riuscire ancora una volta ad avercele fatte provare.
Alice Bianco